Sull'insegnamento del leggere e dello scrivere (2)
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Sull'insegnamento del leggere e dello scrivere (2)
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è stata occasionale, gioiosa, direi «ispirata»; ed ogni minima conquista, anche se molto lontana dal desiderabile è stata messa in valore. Nel mese attuale, ho voluto (e forse qui è il mio errore), dirigere verso lo scopo più preciso del «leggere» e dello «scrivere» questa attività che prima si esauriva in se stessa e che si articolava nella conversazione, nella pittura, nel modellaggio in creta, nel ritaglio in carta, nella copia globale di frasi ispirate alle varie esperienze del bambino e da lui espresse: ho voluto così portare il bambino dalla copia inconsapevole e a volte illeggibile, alla scrittura autodettata, all'espressione voluta e realizzata pienamente da lui: mi si è presentato allora il problema di aiutarlo ad analizzare quelle parole (specie il suo nome e quello delle cose intorno a lui), che lui aveva afferrato globalmente e mi sono accorta allora come sia difficile, volendo raggiungere questo scopo (che io forse mi sono proposta troppo presto) conservare la spontaneità gioiosa e il rapporto individuale del bambino col proprio lavoro: in molti scolari, specie quelli dotati di forte memoria visiva e che perciò avevano bene afferrato la forma globale delle parole, il passaggio dalla globalità all'analisi mi sembra infatti molto lento: come se per loro il segno iniziale fosse ancora tutta la parola (la globalità allora in realtà si era fermata su una sola lettera?) loro continuano a leggere «farfalla » appena vedono una parola che comincia con «f» e scrivono «imbuto » se io detto loro una parola che comincia per «i». Questi errori, del resto ora già quasi superati, non so se sono dovuti al necessario sviluppo della capacità analitica del bambino e sono accettabili